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martedì 19 marzo 2024

STORIE DELL'ALTRO SECOLO — il Blog di Marcella Bitozzi

Marcella Bitozzi

MARCELLA BITOZZI - Ex funzionario del Comune, con studi rivolti ai numeri, ho una sviscerata passione di scrivere fatti del mio paese e storie di gente che ci ha vissuto. E così, prima che anche l’ultima testimonianza possa andare perduta, mi sono decisa di parlare con le donne, con gli anziani, con coloro che erano bambini o adolescenti nel periodo bellico e fascista. Questo Blog lo dedico a mio padre, che ha vissuto il periodo della guerra, che è stato al fronte non in prima linea perché il suo mestiere di falegname gli aveva permesso di essere utilizzato per altre necessità.

In casa c'è posto per tutti

di Marcella Bitozzi - sabato 18 agosto 2018 ore 09:31

La famiglia di Loretta

Loretta del Nannini è una persona solare, è nata alla fine del 1934 a Ponsacco e si è trasferita a Casciana Alta nel 1944 con la sua famiglia: babbo Alfonso, mamma Ada e la sorellina minore Mirella.

Alfonso non c’è più, e non ci sono più neanche mamma Ada e la sorellina Mirella. Un’altra sorellina di Loretta morì di pochi mesi, era nata prematura in seguito ad una brutta caduta di mamma Ada e non ce l’aveva fatta.

A Casciana Alta c’era anche Loretta, quel 23 giugno 1944, il giorno del bombardamento americano.

Loretta conserva vivi nella sua mente i ricordi di quel periodo, della sua infanzia, di tutti quegli episodi vissuti in modo inconsapevole, quasi per gioco, a volte anche apparentemente ironici, ma che di ironico non avevano niente perché profondamente malvagi: la malvagità della guerra.

Non c’era tempo di sentirsi giovani, le circostanze non lo permettevano e molto presto si metteva su famiglia e ci si caricava di tutte le conseguenti responsabilità.

Lo aveva fatto anche suo padre Alfonso, a soli 24 anni, poco dopo aver concluso il servizio militare.

Alfonso aveva una incredibile voce.

“Mio figlio Simone – dice Loretta - ha ereditato da mio padre quella sua dote vocale, ma i tempi erano duri e quando il proprietario del podere che la famiglia di babbo Alfonso lavorava si offrì di fare studiare canto a mio padre a Milano, mio nonno dovette rispondere di no. Oltre a lui – continua Loretta - aveva altre 4 figlie femmine, la famiglia da sfamare era numerosa, il podere era grande e ci volevano braccia forti per poterlo lavorare". 

Alfonso, prima del suo trasferimento a Casciana Alta, abitava a Ponsacco e lavorava alla Piaggio di Pontedera, che raggiungeva ogni giorno in bicicletta e dove all’epoca si costruivano aerei da guerra.

Loretta ricorda i fantastici e coloratissimi pezzettini di vetro, materiali di scarto dell’officina, che suo padre portava a casa e con i quali riusciva a costruire delle rudimentali macchinette accendisigari.

Quando non era in officina, Alfonso aiutava la famiglia nella cura del podere, oltre ad eseguire tutti i lavori che gli venivano commissionati, compreso, come dice Loretta, stagnare le pentole.

Allo stabilimento Piaggio a Pontedera c’era anche un angar, e gli americani non lasciavano mai in pace quel territorio martellandolo con continui bombardamenti.

Le sirene erano sempre aperte e diventava difficile poter lavorare, così la direzione Piaggio prese una decisione: trasferire la fabbricazione degli strumenti bellici da Pontedera a Biella.

A Biella avrebbero dovuto trasferirsi Alfonso e gli altri operai che lavoravano in quel settore, per conservare il loro posto.

Ma ad Alfonso non andava di lasciare il suo territorio, la moglie e le sue giovani figlie, Biella era lontana e così pensò di darsi da fare per cercare un'altra occupazione.

Eliseo Badalassi che conosceva bene Alfonso perché entrambi originari di Treggiaia, gli propose il posto di “ortolano” alla fattoria Delle Piane a Casciana Alta, dove Eliseo era sottofattore.

Per presentarsi alla famiglia Delle Piane, Alfonso e Ada arrivarono da Ponsacco in sella alla loro bicicletta e si presentarono al genero di Delle Piane, colonnello di aviazione, di cui Loretta ricorda solo il nome, Giovanni.

“Mi basta vederti - disse il colonnello ad Alfonso - non importano le referenze, da domani puoi lavorare”.

Le fattorie, all’epoca, concedevano ad uso gratuito le case ai propri operai, ed anche l’ortolano aveva diritto alla sua.

Ma la casa dell’ortolano era ancora occupata, perché Angelo Favaro, livornese, non se ne era ancora andato.

Così Delle Piane comandò ad Evaristo Susini, contadino della fattoria, di ospitare la famiglia Nannini.

Evaristo Susini accettò subito, la casa era grande e poi i Nannini venivano da Ponsacco, una garanzia per lui che aveva un fratello ponsacchino che aveva addirittura sposato la sorella del Podestà.

Evaristo e Fanni avevano cinque figli: Marisa, Fedora, Carlino, Renzo e Neri che era in guerra.

Erano tanti, ma in casa c’era posto per tutti.

Lo stalliere della fattoria si chiamava Domenico Lenzi soprannominato Bombolo, e a lui toccò di andare a caricare le masserizie da sgomberare nella casa dei Nannini a Ponsacco, col cavallo e col barroccio della fattoria.

Una volta a Casciana, Alfonso si dedicò al suo nuovo mestiere.

L’orto che Alfonso aveva il compito di lavorare era grande e gli ortaggi che poteva raccogliere erano abbondanti. Una gran parte veniva spedita a Milano da Pontedera, col treno, ed era destinata ai parenti dei Delle Piane, il resto serviva per uso della villa e solo il rimanente veniva venduto in paese.

Era il passaggio della guerra.

Di giorno volavano continuamente le cicogne, piccoli aerei che perlustravano la zona e se vedevano qualcosa di sospetto, arrivavano le mitraglie, o addirittura i bombardamenti.

Schegge di mitraglie erano sparse per tutto il paese ed i ragazzi le raccoglievano per giocarci.

L’abitazione delle due famiglie, Nannini e Susini, era situata davanti al Cimitero e alla sera o davanti a qualsiasi pericolo Evaristo ed Alfonso sistemavano il rifugio, che era sotto l’argine, spalando terra e sistemando i giacigli con le frasche e con il materiale di fortuna che riuscivano a recuperare.

L’anziano babbo di Evaristo, Valente, non volle mai lasciare la sua casa e quando gli altri scendevano nel rifugio lui si nascondeva sotto l’acquaio.

Certo non si metteva in salvo ma era come se si sentisse protetto dalla sua casa.

Neanche Evaristo lasciava la casa, rimaneva accanto alla mamma inferma.

Il giorno del bombardamento del 23 giugno 1944, Loretta se lo ricorda bene.

Erano le 14 del pomeriggio e Loretta era stata comandata di andare a prendere il pane in paese, al forno del Giperini, e ci andò insieme a Marisa.

Prima di entrare al forno, un gran botto, un fracasso infernale di vetri rotti, uno spostamento di aria aprì la porta del forno e sbattè le bimbe dentro.

Loretta e Marisa, rimasero sbigottite, ma senza avere neanche un po’ di paura, dice Loretta.

Giovannina e Giuseppe Giperini avevano due figlie grandi: Floriana e Floridia che quel giorno aveva la febbre e che stava riposando nella sua cemera, al piano di sopra.

Floridia, sia pure febbricitante scese le scale di corsa, sconvolta, gridando “babbo .. babbo….” .

Al forno c’era Giovannina, mentre Giuseppe era a lavorare nei campi proprio sul poggetto, dove c’era stato il bombardamento.

Giuseppe però non rimase ferito e più tardi rientrò sano dalle terre.

Alfonso intanto cercava Loretta e Marisa e a corsa raggiunse il paese.

Loretta ricorda benissimo che babbo Alfonso arrivò a piedi nudi, era nell’orto, e per la fretta, non indossò le scarpe.

Il paese era ricoperto dei vetri rotti delle finestre e moltissime schegge.

Al momento dello sgancio delle due bombe i ragazzi di paese stavano giocando a pallone in piazza Mascagni, detta piazza Nova, dove i tedeschi avevano un piccolo accampamento.

I tedeschi cercarono di mettere in salvo i bimbi e appena vedevano qualcuno che li cercava li chiamavano dicendo “sono qui sono qui i vostri figli”.

Ma Alfonso appena accapato si accorse che i ragazzi nascosti erano tutti maschi e lui cercava due femmine.

Così continuò la sua corsa fino alla bottega, dove trovò le due bimbe sane e salve.

Il paese era in mezzo alle convulsioni, ma ogni volta che il pericolo era passato, era una vittoria, la vita ricominciava e la paura lasciava pian pianino il posto ad una grande gioia, la gioia di avercela fatta.

Ma non tutti i paesani, quel giorno ce la fecero, qualcuno morì, qualcuno ne rimase segnato per la vita, qualcun’altro lo visse in assoluta consapevolezza e qualcun altro ancora invece, come Loretta, lo visse come un’avventura.

Era la guerra.

Ed in guerra c’è chi cade, chi rimane in piedi e chi si rialza ammaccato; in guerra anche la più piccola azioni, anche di normalissima routine, è un ostacolo da superare.

Come sfamarsi tutti, ad esempio. Ma questa è un’altra storia da raccontare….

Marcella Bitozzi

Articoli dal Blog “Storie dell'altro secolo” di Marcella Bitozzi